Componenti passivi: Induttori

Componenti passivi: Induttori

Marzo 7, 2021 1 Di Aniello Di Nardo
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Eccoci giunti all’ultimo, ma non certo per importanza, dei componenti passivi: gli induttori (o bobine, solenoidi, avvolgimenti, ecc…). Anch’essi come resistenze e condensatori, trovano ampio impiego nei circuiti elettrici ed elettronici e in particolar modo, in motori elettrici e trasformatori, ma anche in circuiti radio ad alta frequenza e in circuiti audio (in bassa frequenza).

Anche stavolta cercheremo di affrontare l’argomento con un approccio pratico, allo scopo di aiutare chi si avvicina al fantastico mondo dell’elettronica, a comprenderne il funzionamento ed a conoscere alcuni dei suoi campi di utilizzo.

In alto il simbolo standard dell’induttanza con accanto quella con nucleo in ferrite. In basso, invece il simbolo dell’induttanza variabile

Cos’è? Come funziona?

L’induttore è in pratica un filo conduttore, generalmente di rame smaltato, avvolto in aria o su un cilindro di materiale ferroso (ferrite), per formare delle spire. La sezione del filo, la distanza tra esse, il diametro e il materiale presente al suo interno, determinano il valore dell’induttanza (simbolo L) che si misura in Henry (abbreviato H). Anch’esse possono avere svariate forme e dimensioni e, spesso, dato che la loro struttura è molto semplice, è abitudine auto costruirle, in base alle esigenze. Basa il suo principio di funzionamento sui “campi magnetici”.

Alcuni tipi di induttori

Per calcolare il valore dell’induttanza in Henry di un induttore è possibile utilizzare la seguente formula:

L = (μ * N² * S) / l

Dove:

  • L è l’induttanza in Henry,
  • μ è la permeabilità magnetica del materiale inserito al suo interno (μ0 ad esempio è quella dell’aria che corrisponde a 1,26 * 10-⁶)
  • N è il numero di spire
  • S è la sezione in m² del solenoide
  • l (elle) è la sua lunghezza in m

NOTA: Inserendo un materiale ferromagnetico (ad esempio il ferro dolce) all’interno di un’induttanza, a parità di numero di spire, sezione e lunghezza del solenoide, il valore in Henry del componente aumenta. Resta bene inteso che il filo conduttore dell’induttore, essendo smaltato, non entra in contatto elettrico con il materiale posto al suo interno. Tra i materiali ferromagnetici, oltre al ferro, troviamo anche il nichel, il cobalto e tutti gli elementi che appartengono ai gruppi da 3 a 12 della tebella periodica degli elementi. Ognuno di essi ha la sua permeabilità magnetica.

Campi magnetici. Per spiegare come funziona, partiamo da un concetto base: quando un conduttore (un filo elettrico ad esempio) è attraversato da corrente, essa genera un campo magnetico (intorno al conduttore stesso) perpendicolare alla sua direzione, con un raggio di direttamente proporzionale all’intensità della corrente:

La corrente che scorre in un filo (freccia blu) genera un campo magnetico (frecce in rosso)

Se il conduttore è avvolto in spire parallele il campo magnetico generato da ogni singola spira si somma con quello generato dalle spire adiacenti, producendo un campo magnetico direttamente proporzionale al numero di spire e alla corrente che attraversa il conduttore ed inversamente proporzionale alla lunghezza del solenoide (questo termine descrive un filo conduttore avvolto in spire).

Un solenoide percorso da corrente e le linee di forze descritte dal campo magnetico

Questo (il campo magnetico generato) è di certo un aspetto interessante, da cui derivano svariate applicazioni. Basta immaginare di poterlo controllare a seconda delle esigenze.

Elettromagnete

Se si avvolge il solenoide intorno ad un cilindro di ferro dolce (un normale tondino di ferro da carpenteria ad esempio), il campo magnetico vi si trasferisce temporaneamente (un po’ come avviene quando un oggetto di ferro viene portato a contatto con una calamita) e diventa anch’esso un magnete, solo per il tempo in cui il campo magnetico agisce su di esso. Controllando il passaggio di corrente attraverso il solenoide, con l’utilizzo ad esempio di un interruttore, possiamo attivare e disattivare il campo magnetico, da qui la definizione di elettromagnete. Solo per fare qualche esempio, tra le applicazioni più diffuse, si possono citare: relè, campanelli elettrici, telegrafi, ecc…

NOTA: Il ferro dolce ha proprietà magnetiche “temporanee”, cioè si magnetizza solo quando è interessato dall’azione di un campo magnetico, a differenza dell’acciaio invece, il quale se posto nell’area di azione di un campo magnetico per un tempo prolungato, diventa un “magnete permanente”.

Un elettromagnete composto da un solenoide percorso da corrente avvolto su un cilindro di ferro dolce

Flusso magnetico (costante e variabile)

Quando si parla di campi magnetici, più propriamente si parla anche di Induzione magnetica o densità di flusso magnetico (simbolo B) si misura in Tesla (T). La formula per calcolare il flusso magnetico è la seguente: B = μ * H, dove:

  • B è l’induzione magnetica
  • μ è la permeabilità magnetica del materiale attraversato dal campo magnetico
  • H è l’intensità del campo magnetico

Il campo magnetico quindi è legato alla presenza del flusso magnetico ovvero: il flusso del campo magnetico attraverso una superficie, il quale può essere costante o variabile e, da come si può facilmente intuire: per un campo magnetico costante sarà presente un flusso magnetico costante e, vice versa, per un campo magnetico variabile il flusso magnetico sarà variabile. Esso si misura in Weber è il suo simbolo è Φ (fi greca) oppure Wb.

La formula per calcolare il flusso magnetico è la seguente: Φ = B * A, dove:

  • Φ è il flusso magnetico in Weber
  • B è l’induzione magnetica in Tesla
  • A è la superficie in

L’aspetto decisamente più interessante dell’induttanza è la comparsa di una forza elettromotrice (f.e.m.) indotta dall’azione di un flusso magnetico variabile che è pari all’opposto della variazione temporale del flusso stesso (Legge di Faraday). E’ bene notare che il fenomeno fa la sua comparsa solo quando il flusso magnetico è variabile da cui si deduce che, se il flusso magnetico è costante, non vi è f.e.m. indotta.

NOTA: La forza elettromotrice (f.e.m.) è una grandezza equivalente alla tensione (e alla differenza di potenziale d.d.p.), argomento quest’ultimo già affrontato nella prima lezione di questo corso (Legge di Ohm), essa si misura il Volt e si può definire come il rapporto tra il lavoro compiuto da un generatore elettrico per spostare le cariche da un terminale all’altro (convenzionalmente dal positivo al negativo) e l’unità di carica spostata.

E’ bene rimarcare che la f.e.m. indotta è inversamente proporzionale al tempo (delta T) con cui varia il flusso magnetico, quindi: variazioni lente (bassa o bassissima frequenza) producono f.e.m. indotte piccole o piccolissime; variazioni rapide (alta o altissima frequenza) producono f.e.m. indotte grandi o grandissime.

In corrente continua non vi è una sostanziale variazione del flusso ed essendo costante, non si produce una f.e.m. indotta, ma solo un piccolo spunto iniziale, dovuto alla prima variazione di corrente, che troviamo negli attimi inziali, cioè dal momento in cui si chiude il circuito (con corrente uguale a zero) fino a quando la corrente assume il suo valore massimo e, da questo istante in poi, il flusso si stabilizza e diventa costante, per poi ritrovarla negli attimi finali, quando si apre il circuito e la corrente, dal valore massimo torna a zero, generando quindi una seconda (e ultima) variazione di flusso. Dato che in quest’ultimo frangente il circuito è aperto, l’energia prodotta resterà immagazzinata nell’induttore. Analogamente al condensatore, anche l’induttore una volta “carico” potrà restituirla sotto forma di corrente, in un circuito che si chiude intorno all’induttore.

In corrente alternata invece la corrente varia continuamente (come già descritto nella lezione sui condensatori), producendo un flusso magnetico variabile che, a sua volta, genera una f.e.m. indotta (e quindi una tensione) prolungata nel tempo, che inverte la sua polarità ripetutamente, la cui ampiezza dipende dalla frequenza con cui varia: maggiore è la frequenza, maggiore sarà la l’ampiezza della tensione indotta.

NOTA: Il Flusso magnetico dipende dal campo magnetico, il quale non necessariamente deve essere prodotto da un solenoide percorso da corrente. Anche un normale magnete produce un campo magnetico. Ad esempio facendo muovere il magnete, con un moto armonico (in questo caso avanti e indietro), all’interno del solenoide (vedi immagine seguente), il flusso che agisce nella superfice dell’induttore diventa variabile e potrà quindi indurre una f.e.m. che, a sua volta, trovandosi in un circuito chiuso (in questo caso ai capi di una lampadina ad incandescenza), genererà anche una corrente che farà accendere la lampadina.

Un magnete in movimento, all’interno di un induttore, induce una f.e.m. in grado di generare una corrente

Induzione elettromagnetica (autoinduzione e mutua induzione)

La comparsa di una f.e.m. indotta in un circuito chiuso è legata alla comparsa di una corrente indotta. Come accennato in precedenza, un solenoide percorso da una corrente variabile nel tempo, che definiremo i1, genera una f.e.m. indotta (anch’essa variabile nel tempo) e di conseguenza una corrente che definiremo i2, che varia con la stessa frequenza, ma con una direzione opposta. Dato che i2 si oppone a i1 possiamo dire che l’induttanza, in corrente alternata, si comporta come la resistenza, la cui capacità di opporsi, dipende dall’intensità della corrente generata, quindi all’ampiezza della f.e.m. indotta, che a sua volta dipende dalla frequenza della variazione del flusso, della corrente che attraversa il solenoide e dal numero di spire. Questo è il fenomeno dell’autoinduzione la cui definizione è la seguente: fenomeno per cui una variazione di corrente in un circuito elettrico provoca una variazione di flusso magnetico concatenato al circuito stesso e di conseguenza una corrente indotta.

Autoinduzione

NOTA: Nella lezione sui condensatori è emerso che la corrente è in anticipo di 90° rispetto alla tensione. Negli induttori, invece, la corrente è in ritardo di 1/4 di periodo o – analogamente – è in ritardo di 90° rispetto alla tensione.

tensione e corrente in un induttore a regime variabile

Adesso immaginiamo di avere un secondo solenoide, con caratteristiche simili a quello descritto in precedenza, ma al cui interno non viene fatta scorrere una corrente. Poniamo quest’ultimo nelle immediate vicinanze del primo solenoide, quindi all’interno del raggio di azione del suo campo magnetico. Come possiamo immaginare, il flusso magnetico variabile presente nel primo solenoide, agirà anche sul secondo solenoide generando una f.e.m. indotta la cui frequenza e ampiezza dipendono dal flusso variabile stesso, ma anche dalle caratteristiche del secondo solenoide: numero di spire, sezione, materiale inserito al suo interno, lunghezza, ecc… Quando il circuito intorno al secondo solenoide si chiuderà, inizierà a scorrere anche una corrente. Su questo principio si basa il Trasformatore a Induzione che affronteremo più avanti in questo corso.

Induzione elettromagnetica: principio del Trasformatore a induzione

Possiamo quindi affermare che: due o più circuiti si dicono mutuamente accoppiati quando, al variare della corrente in uno di essi, corrispondono variazioni di flusso che vanno anche a concatenarsi con gli altri circuiti, originando f.e.m. di mutua induzione.

Mutua induzione

NOTA: E’ utile rimarcare che i fenomeni legati all’induzione fanno la loro comparsa solo in un regime di corrente alternata.

Ricapitolando…

Facciamo un recap di quanto emerso sugli induttori fino ad ora, allo scopo di consolidare i concetti chiave:

  • La corrente che scorre in un induttore genera un campo magnetico la cui intensità è direttamente proporzionale alla corrente e al numero di spire e inversamente proporzionale alla sua lunghezza.
  • Un campo magnetico può influenzare altri circuiti elettrici grazie alla presenza del flusso magnetico.
  • Il ferro, i materiali ferromagnetici e le miscele da essi derivati possono modificare le caratteristiche di un induttore, aumentandone il valore caratteristico. Il ferro ha anche proprietà di magnetizzazione temporanee (elettrocalamite).
  • Il flusso magnetico può essere costante o variabile. Quando il flusso magnetico è variabile può indurre una f.e.m. in un altro circuito se inserito all’interno del suo campo di azione.
  • Se il flusso magnetico è costante non si genera alcuna f.e.m. indotta.
  • La f.e.m. indotta avrà un’ampiezza direttamente proporzionale alla frequenza con cui varia il flusso magnetico e alle caratteristiche dell’induttore (numero di spire, lunghezza, ecc..).
  • Anche un magnete permanente (ad esempio una semplice calamita) può generare un flusso magnetico, ma per diverntare “variabile” è necessario che esso si muova con un moto armonico all’interno del circuito su cui dovrà agire.
  • La corrente che scorre in un induttore è in ritardo di 90° rispetto alla tensione.
  • In corrente continua un induttore è paragonabile ad un corto circuito (oppure ad una resistenza di valore molto piccolo, data dalle caratteristiche del conduttore: sezione, lunghezza e materiale), mentre in corrente alternata, si comporta come una resistenza: maggiore è la frequenza con cui la corrente varia e più grande sarà la sua capacità di opporsi al passaggio di corrente.

Induttori in serie e in parallelo

Così come avviene per resistenze e condensatori, anche gli induttori si possono collegare tra di loro per ottenere un valore di induttanza sommato o frazionato, a seconda delle esigenze.

Partiamo subito col dire che i collegamenti tra induttori seguono la stessa regola delle resistenze, ovvero: l’induttanza degli induttori collegati in serie si somma, mentre quella degli induttori collegati in parallelo si fraziona. Praticamente per gli induttori e le resistenze vale la stessa regola, mentre per in condensatori vale la regola opposta.

Induttori in serie

Induttori in serie. L’induttanza complessiva degli induttori collegati in serie, dunque, sarà la somma delle induttanze di ogni singolo induttore:

L tot. = L1 + L2 + L3

Induttori in parallelo

Induttori in parallelo. L’induttanza complessiva degli induttori collegati in parallelo sarà data dalla seguente formula:

L eq. = 1 / ((1 / L1) + (1 / L2) + (1 / L3))

Esiste anche un formula più semplice per calcolare l’induttanza equivalente di due induttori (quindi solo due!) collegati in parallelo:

L eq. = (L1 * L2) / (L1 + L2)

Induttori variabili

Anche gli induttori come i condensatori e le resistenze, si possono configurare come componenti variabili, la cui induttanza può essere modificata, facendo variare la loro struttura. Come abbiamo visto, infatti, l’induttanza dipende dal numero di spire, dalla sua lunghezza, dalla sezione e dal materiale posizionato al suo interno. Esistono vari tipi di induttori variabili, ma tra i componenti di uso più comune, si utilizza una bobina avvolta su un supporto di plastica (o qualsiasi materiale isolante), al cui interno viene posizionato un cilindro di materiale ferromagnetico che può essere regolato con un sistema a vite: la posizione del cilindro di ferro all’interno della bobina, fa variare l’induttanza del componente. Esso ha due soli terminali:

A sinistra il simbolo dell’induttore variabile, a destra un’immagine

Induttori come filtri

Prima di concludere questa lezione, aggiungiamo un ultimo aspetto (tra quelli che caratterizzano l’induttore insieme ai condensatori e le resistenze) partendo da quanto appreso: l’induttore in regime alternato, si oppone al passaggio della corrente in funzione della frequenza, quindi si comporta come un filtro, permettendo il passaggio di correnti a frequenze basse e bloccando quelle alte (in corrente continua, che consideriamo a frequenza zero, non vi è alcun effetto). Le frequenze dei segnali in grado di passare attraverso il filtro, dipendono dall’induttanza e dalla configurazione circuitale. In generale più alta è l’induttanza, più bassa dovrà essere la frequenza del segnale che si intende far passare o, viceversa, più alta dovrà essere la frequenza del segnale che si intende bloccare. Vedremo più avanti in questo corso, come calcolare i filtri in base alle esigenze.

Conclusioni

L’induttore è forse quello più complesso tra i componenti passivi. In questa lezione ho cercato di sviscerare gli aspetti salienti, ma non ho certo la pretesa di aver affrontato con rigore un argomento che richiede senza ombra di dubbio, adeguati approfondimenti. Ma chi si avvicina al fantastico mondo dell’elettronica senza avere un background adeguato, dato ad esempio dalla formazione accademica, non deve pretendere di imparare tutto e subito. Le applicazioni degli induttori sono davvero tante, dovute alla sua flessibilità e alle sue caratteristiche: trasformatori, motori elettrici, alternatori, filtri, circuiti di risonanza e di accordo sia in bassa frequenza (segnali audio) che in alta frequenza (segnali radio) e ancora tante altre. Quindi come già accennato, non bisogna avere fretta di imparare.